Mio zio Mario è un vecchietto basso e solido, un uomo di campagna, semplice, con l'orto e le galline. Uno che quando lo incontri, rientrando dai tuoi viaggi, compare e scompare discreto. Tu lo vai a trovare e lui è nell'orto oppure in cantina; sale in cucina e beve il caffè della zia Rita e magari ti racconta, biascicando un po', che il giorno prima ha suonato i piatti nella Banda del paese. Che lo ascolti con tenerezza, così. Sabato ho scoperto, di lui, cose che lui non mi ha mai raccontato. Io ho studiato a Parigi, ho viaggiato in India e sono andata a New York e a Londra e dappertutto, un sacco di volte. Lui è andato in guerra. Ci è rimasto per anni. Ogni tanto gli davano qualche giorno di permesso per tornare al paese e raccogliere il grano. Era un socialista, lui, e quando tornava a casa ci trovava i fascisti. Pochi giorni nei campi e poi di nuovo in guerra. Stava sul fronte jugoslavo quando c'è stato l'armistizio. Pare che, con l'armistizio, i soldati non sapessero più cosa fare, come fare. Qualcuno scappava da solo, qualcun'altro diceva che era meglio stare uniti, tornare verso casa tutti insieme, farsi forza così. Lo zio Mario è rimasto nel gruppo ed è stato catturato dai tedeschi che l'hanno messo in un campo di concentramento in Germania. Ci è rimasto per due anni. I tedeschi ordinavano e lui non ci capiva nulla. Si è inventato d'essere stalliere per potersi occupare dei cavalli e mangiare la biada. Scaricava i camion di viveri e chi era preso a rubare, gli sparavano. Lui scaricava, rubava e mangiava. Quando sono arrivati i Russi, insieme a qualche altro compaesano ha preso ottanta cavalli e ha cominciato a tornare a casa. Scendeva verso sud, incontrava le fattorie e vendeva i cavalli per avere da mangiare, da bere. L'ultimo l'ha venduto a Udine. Da Udine al paese, altri 400 chilometri, come abbia fatto non so.